Trieste. Il borgo asburgico e la città moderna
Itinerario
Trieste. Il borgo asburgico e la città moderna
Porta il suo nome il Borgo Teresiano, quello di Maria Teresa d’Austria, che dopo la proclamazione di Trieste a porto franco decide di dare ulteriore impulso alla città con la costruzione, tra fine Settecento e metà Ottocento, di un intero borgo ricavato dall’interramento delle saline e destinato ad accogliere edifici funzionali alle nuove attività commerciali e di servizio. Un interessante saggio di urbanistica dell’assolutismo illuminato che richiama gli architetti del più aggiornato stile neoclassico: saranno Matteo Pertsch, Antonio Mollari, Pietro Nobile, Antonio Buttazzoni ad applicare alle facciate dei palazzi l’ordine gigante delle colonne che sorreggono trabeazioni e timpani, su cui spesso verranno collocate sculture di Antonio Bosa. E così, ancora oggi, si presentano agli occhi di chi visita la città questi eclettici edifici. È questa una stagione irripetibile di grandi imprese architettoniche, ma anche umane, che portano a Trieste famiglie di imprenditori aperti al rischio e capaci di nobilitare la propria fortuna spesso con attività di mecenatismo artistico. Un grande fermento percorre il Borgo Teresiano, che presto diventa punto d’incontro di popoli e di ideologie, formative del carattere composito dei triestini. Il merito è ancora suo, di Maria Teresa d’Austria, donna di grandi vedute che apre alla libertà di culto, consentendo alle varie comunità religiose di erigere le proprie chiese. Così nel borgo, due giganti dell’architettura, il Tempio di San Spiridione, di culto serbo-ortodosso, e la cattolica chiesa di Sant’Antonio Nuovo, ancora oggi convivono pacificamente. Boom architettonico, exploit economico, mecenatismo artistico, crocevia di popoli e religioni… eppure impossibile guardare Trieste senza le lenti della letteratura. Che, sonnecchiante, esploderà con l’arrivo di James Joyce nel 1904. Perché, alla fine del Settecento, quando si diffonde il concetto di viaggio culturale, Trieste non è una tappa del Grand Tour. Goethe se ne sta alla larga, scioccato dall’assassinio dell’archeologo tedesco Winckelman, ucciso in una locanda triestina per una manciata di antiche monete d’oro. Rilke la detesta. Stendhal arriva in città in qualità di console nel novembre del 1830. Ma non se la passa bene: fa freddo, è cagionevole di salute e non tollera la bora, così si profonde in lamentele: «C’è la bora due volte alla settimana, e vento forte cinque volte. Definisco vento forte quando si è costantemente occupati a tenersi stretto il cappello, e bora quando si rischia di fratturarsi un braccio». Occorre dunque attendere James Joyce che proprio a Trieste scrive l’Ulisse, perché all’improvviso la città venga inclusa nell’itinerario dei grandi “pellegrinaggi” letterari. Vi giunge nel 1904 e vi rimane fino al 1915, innamorandosi perdutamente della città e dei suoi abitanti al punto da ritrovarli spesso nell’Ulisse e in altre sue opere. Ma James Joyce, anzi Giacomo Zòis per i triestini, da Trieste non è mai andato via. Passeggiando lungo il Canale Grande, con piazza della Borsa fulcro del Borgo Teresiano, ancora oggi ci si imbatte nella sua figura slanciata. «La mia anima è Trieste» si legge alla base della bellissima statua sul Ponterosso, realizzata nel 2004 per commemorare il centenario dell’arrivo in città dello scrittore irlandese. Subito a ridosso del Borgo Teresiano, la Trieste moderna ha il suo cardine in piazza Oberdan, che secondo un preciso piano urbanistico degli anni Venti-Trenta del Novecento da un lato avrebbe dovuto collegare il centro cittadino con le strade d’uscita verso il Friuli e l’Istria e dall’altro diventare ingresso rappresentativo alla città e quinta scenografica al Palazzo di Giustizia, alle sue spalle. Viene così abbattuta la grande caserma austriaca che per un secolo aveva dominato la zona, e al suo posto realizzato un ampio spazio a emiciclo, destinato a ospitare nuovi edifici dallo stile eclettico, simbolo della solennità del Ventennio fascista.