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Trentino-Alto Adige

Il lungo affinamento del vino trentino, “santo” e da meditazione

Itinerario

Il lungo affinamento del vino trentino, “santo” e da meditazione

in collaborazione con Slow Food

Tra la valle dell’Adige e il Garda si erge la valle dei Laghi, famosa da un punto di vista enologico per un prodotto davvero unico: il Vino Santo. Apprezzato già in epoca asburgica, questo vino da meditazione si ricava dalla nosiola, un vitigno a bacca bianca coltivato in poco meno di 110 ettari. Si parte da Santa
Massenza, uno dei centri principali di produzione che ospita tre cantine che lo producono secondo una lunga e paziente lavorazione. Si prosegue verso Pergolese dove troviamo una cantina che vanta 170 anni di attività, per arrivare a Cavedine dove si potrà degustare presso una cantina che di anni ne ha “appena” 110 e che nel tempo è tanto cresciuta in qualità. L’itinerario si conclude a Lasino dove troviamo un’azienda vinicola giovane molto attenta al territorio e alla sostenibilità, tra le prime in Italia a piantare la varietà a impatto zero “Piwi”.

A ovest di Trento, tra la valle dell’Adige e il Garda, un’antica strada romana percorre interamente quella che, dalla metà del secolo scorso, è nota come la valle dei Laghi. Da un punto di vista enologico, l’area è famosa per un prodotto davvero unico, la cui lavorazione richiede grande attenzione e pazienza: il Vino Santo. Apprezzato già in epoca asburgica, questo vino da meditazione si ricava dalla nosiola, un vitigno a bacca bianca coltivato in poco meno di 110 ettari, e che rappresenta appena l’1,5% della produzione viticola regionale. Il colore va dal giallo ambrato intenso al bruno, talvolta con riflessi aranciati di intensità medio-alta; il profumo è gradevole, armonico, fine, delicato, il sapore è piacevolmente dolce, di passito.
Uno dei centri principali della sua produzione è Vallelaghi; anzi, per la precisione, la frazione di Santa Massenza, che ospita ben tre cantine (nonché distillerie, questa è anche una piccola quanto rinomata capitale della grappa) che lo producono secondo la lunga, paziente lavorazione. Da Giovanni Poli, da Francesco Poli (il cognome qui è molto diffuso) o presso Maxentia, al momento della vendemmia si selezionano pianta per pianta solo i grappoli più maturi e spargoli (ovvero quelli con gli acini radi). In queste aziende biologiche, a carattere familiare, le uve vengono depositate accuratamente su tradizionali graticci chiamati arèle, collocati in soffitte che garantiscano la circolazione dell'aria: fino ai primi di dicembre, infatti, si lasciano aperte le finestre per fare entrare l'ora del Garda, il tipico vento fresco e asciutto che spira dai laghi e che, aerando i grappoli continuamente, permette un appassimento lento e prolungato. Ai primi freddi si chiudono le finestre e si aspetta che la muffa nobile (Botrytis cinerea) si sviluppi all'interno dell'acino accentuando la disidratazione e il notevole calo di volume: da 100 chili di uva nosiola si ottengono appena 15-18 litri di mosto. Con l’avvento della Settimana Santa (da qui il nome del vino), si procede alla pigiatura e alla vinificazione. Il mosto è travasato in piccole botti di rovere dove inizia la lentissima fermentazione naturale che dura almeno 6-8 anni. Dopo l’imbottigliamento, il Vino Santo trentino può affrontare un lunghissimo affinamento, anche per più di 50 anni. Quale migliore luogo per assaggiarlo se non una cantina che vanta 170 anni di attività? Parliamo di Pisoni, ospitata nel paese di Pergolese. Spostandosi a Cavedine, una cantina che di anni ne ha “appena” 110 e che nel tempo è tanto cresciuta in qualità: Gino Pedrotti. Fermatevi a degustare con attenzione un vino che richiede tutto il vostro tempo: il colore va dal giallo ambrato intenso al bruno, talvolta con riflessi aranciati di intensità medio-alta; il profumo è gradevole, armonico, fine, delicato, il sapore è piacevolmente dolce, di passito. L’itinerario si conclude a Lasino con un’azienda “giovane”: Pravis fa vini da quarant’anni, vino santo compreso, ovviamente. Forte l’attenzione al territorio e alla sostenibilità: sono stati i primi in Italia a piantare varietà a impatto zero Piwi (ovvero autonomamente resistenti ai funghi, senza quasi necessità di trattamenti).

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