Recanati. I luoghi di Leopardi
Itinerario
Recanati. I luoghi di Leopardi
Il campanile della Chiesa di Sant’Agostino, noto come la «torre antica» del Passero solitario, la Piazzola Sabato del Villaggio, il Colle dell’Infinito: è impossibile non emozionarsi percorrendo stradine e piazze di Recanati, che Giacomo Leopardi seppe narrare con tanta insuperata arte poetica. Si scoprono a uno a uno gli angoli del «natio borgo selvaggio» che sprigionano potenti memorie, come quando si visita la biblioteca di Palazzo Leopardi. Qui, mentre si ammirano i preziosi manoscritti, sembra ancora di vedere il poeta studiare le «sudate carte». E sempre da qui si potranno scorgere, con commozione, le «quiete stanze» della casa di Silvia. Prima di lasciare il paese è inevitabile gettare uno sguardo alla vista superba dall’«ermo colle», che spazia sulle dolci colline marchigiane.
Recanati ha indissolubilmente legato il nome al suo figlio più celebre, quel Giacomo Leopardi qui nato nel 1798 dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici, primo di sette figli, ma certamente quello dotato di una delle più straordinarie intelligenze e sensibilità poetiche del XIX secolo. Percorrere i luoghi del «natio borgo selvaggio» (così Leopardi definiva Recanati, ritenuta chiusa e asfissiante) non può prescindere da ricordi scolastici e anche cinematografici: del 2014 è il fortunato film Il giovane favoloso di Mario Martone, dove uno straordinario Elio Germano interpreta secondo gli attuali orientamenti della critica un Leopardi più filosofo e decisamente più vitale di quanto comunemente ritenuto. Quasi in ogni scorcio del paese sembrano echeggiare i versi del poeta, a partire dal campanile della Chiesa di Sant’Agostino, quella «torre antica» prescelta dal passero solitario. Si costeggia il materno Palazzo Antici Mattei, per raggiungere il palazzo di famiglia dove il giovane studiò, sotto l’attenta e severa guida di Monaldo, insieme ai fratelli Carlo e Paolina: sono gli anni dello studio «matto e disperatissimo» sulle «sudate carte», all’interno di una biblioteca d’inestimabile valore, sia per l’epoca sia per i canoni odierni, aperta da Monaldo non solo ai familiari, ma all’intera cittadinanza recanatese, assecondando in pieno lo spirito illuminista. Dalle sale gremite di libri si getta un tenero sguardo alla piazza che ha preso il nome dalla poesia Il sabato del villaggio, dove c’era la casetta in cui sedeva «su la scala a filar la vecchierella» e rumorosa di fanciulli in festa. Vi affacciano anche le «quiete stanze» della donna scomparsa in tenera età e immortalata nella poesia A Silvia. Nel verde del Monte Tabor una targa ricorda i versi forse più noti, quelli dell’Infinito, ma è quasi superfluo, dal momento che l’“infinito” che si coglie dall’«ermo colle» ammirando l’intatto paesaggio marchigiano è ancora lo stesso catturato dal poeta.